sabato 8 novembre 2008

Vitamina D

Vitamina D e ipertensione, il dibattito continua

Un effetto protettivo della vitamina D sul rischio di sviluppare ipertensione è stato riportato in alcuni studi, senza però ottenere un’evidenza definitiva. Adesso, due nuove ricerche, una riportante una correlazione inversa fra livelli plasmatici di 25-diidrossivitamina D (25-OH D) e rischio di ipertensione incidente e una seconda che dimostra, al contrario, nessun rapporto fra assunzione suppletiva di vitamina D e livelli di pressione arteriosa, si aggiungono al dibattito.

John Forman e colleghi (Forman JP et Al. Hypertension, 2008, 52:828-32) hanno condotto uno studio caso-controllo prospettico su 1.484 donne giovani (età < 53 anni) indagando il rapporto fra incidenza di ipertensione e livelli plasmatici di 25-OH D. Le donne comprese nel quartile più basso di 25-OH plasmatica presentavano un rischio aggiustato di ipertensione incidente pari a 1,66 (95%CI: 1,11 – 2,48; p = 0,01) rispetto a quelle nel quartile più alto. La presenza di un deficit di vitamina D (< 30 ng/ml) comportava un aumento del rischio di sviluppare ipertensione pari al 47% (odds ratio: 1,47; 95%CI: 1,10 – 1,97).

Nello studio randomizzato in doppio cieco riportato da Karen Margolis e colleghi (Margolis KL et Al. Hypertension, 2008, 52:847-55), tuttavia, la somministrazione di 400 UI/die di vitamina D3 (in aggiunta a 1.000 mg di calcio) non aveva alcun effetto sui livelli di pressione arteriosa. Su una popolazione complessiva di 36.282 donne in post-menopausa, con un follow-up mediano di 7 anni, nessuna differenza significativa è stata trovata fra il gruppo trattato con vitamina D e calcio e il gruppo placebo in termini di modifiche nel tempo dei valori di pressione sistolica (0,22 mmHg; 95%CI: -0,05 – 0,49 mmHg) e diastolica (0,11 mmHg; 95% CI: -0,04 – 0,27).

Nonostante i larghi numeri riportati, neanche quest’ultimo studio potrà essere considerato definitivo circa gli effetti della vitamina D sulla pressione arteriosa. Tuttavia, come commentato dagli stessi autori, «i dati sicuramente suggeriscono che l’assunzione di integratori alimentari non è efficace come sostituto di abitudini alimentari corrette».

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