Dopo l'ictus il cervello sa come autoripararsi
Il cervello colpito da ictus è notoriamente in grado di autoripararsi per porre rimedio ai danni conseguenti a questo terribile evento: l'obiettivo è quello di potenziare il recettore responsabile di questa autoriparazione, in modo da migliorare il recupero del paziente colpito da ictus.
Lo studio è stato condotto da un gruppo di ricercatori italiani coordinato da Maria Pia Abbracchio, del Dipartimento di Scienze Farmacologiche dell' Università di Milano e da Mauro Cimino dell'Università di Urbino. È detto ictus, dal latino colpo, un evento vascolare acuto caratterizzato da un improprio afflusso di sangue ad una regione dell'encefalo ma anche del cervelletto o del midollo spinale, dovuto a occlusione, rottura o spasmo di un vaso cerebrale.
I termini aulici utilizzati per definire questa patologia rispecchiano la storia della medicina, attraverso le lingue che hanno dominato le scienze nel corso dei secoli, poiché si passa dal greco apoplessi, al latino ictus, all'inglese stroke, che significano tutti allo stesso modo "colpo".
Un termine italiano, superiore a questi e più preciso di "infarto", è "accidente cerebrovascolare", che rientra nell'ambito delle sindromi vascolari acute, tra cui annoveriamo anche l'attacco ischemico transitorio (Transient Ischemic Attack o TIA) e l'emorragia cerebrale. L’ictus è una malattia grave. Alcuni, meno fortunati perché hanno lesioni più estese o un decorso aggravato da complicanze, non superano la fase acuta della malattia e muoiono durante le prime settimane. Per altri, una volta superata la fase acuta, si assiste ad un miglioramento. Questo fatto offre motivi di speranza. Vediamo perché succede. Quando si verifica un ictus alcune cellule cerebrali vengono lesionate in modo reversibile, altre muoiono. Le cellule che non muoiono possono riprendere a funzionare. Inoltre nelle fasi acute dell’ictus, intorno alle aree lese il cervello si gonfia per effetto dell’edema. Quando l’edema si riduce il funzionamento delle aree sane del cervello riprende regolarmente. Infine altre aree sane del cervello possono sostituire le funzioni di quelle lesionate. Ovviamente le possibilità di recupero variano in relazione all’estensione della lesione e alla particolarità della zona colpita. Gli effetti dell’ictus variano molto nelle diverse persone: alcune sperimentano solo disturbi lievi, che con il tempo divengono quasi trascurabili, altri, invece, portano gravi segni della malattia per mesi o per anni. Complessivamente delle persone che sopravvivono ad un ictus, il 15% viene ricoverato in reparti di lungodegenza; il 35% presenta una grave invalidità e una marcata limitazione nelle attività della vita quotidiana; il 20% necessita di assistenza per la deambulazione; il 70% non riprende la precedente occupazione. Potrebbero capitare anche piccole forme di perdite di memoria temporanee e chi è affetto da questa malattia potrebbe riprendere l'uso della parola e non capire la sua situazione.
Dopo un ictus è possibile favorire il recupero, almeno parziale, delle funzioni perse. Tale è il compito della riabilitazione. A questo fine è importante stimolare ed incoraggiare i pazienti con ictus alla partecipazione alle attività quotidiane e promuovere l’abbandono precoce del letto (verticalizzazione precoce). Il recupero funzionale dell’arto superiore e la rieducazione del controllo posturale e della deambulazione rappresentano obiettivi a breve e medio termine del progetto riabilitativo. Il trattamento dei disturbi del linguaggio (afasia) richiede preliminarmente una dettagliata valutazione da parte di operatori competenti ed il coinvolgimento di un terapista del linguaggio (logopedista) ed è mirato a recuperare la capacità di comunicazione globale, di comunicazione linguistica, di lettura, di scrittura e di calcolo oltre che a promuovere strategie di compenso atte a superare i disordini di comunicazione ed a addestrare i familiari alle modalità più valide di comunicazione.
Dopo la fase acuta, la cura può proseguire in strutture specializzate per la riabilitazione, tenendo conto delle esigenze a lungo termine del soggetto colpito. Le attività assistenziali a fini riabilitativi dopo un ictus hanno caratteristiche distinte a seconda dell’epoca di intervento e richiedono il contributo di operatori diversi, a seconda degli obiettivi consentiti dalle condizioni cliniche, ambientali e delle risorse assistenziali disponibili.
Il progetto riabilitativo dovrebbe essere il prodotto dell’interazione tra il paziente e la sua famiglia ed un team interprofessionale (infermieri, fisiatri, neurologi, fisioterapisti, terapisti occupazionali, riabilitatori delle funzioni superiori e del linguaggio), coordinato da un esperto nella riabilitazione dell’ictus. Il team si riunisce periodicamente per identificare i problemi attivi, definire gli obiettivi riabilitativi più appropriati, monitorare i progressi e pianificare la dimissione. I dati attualmente disponibili non consentono di documentare una maggiore efficacia di alcune metodiche rieducative rispetto ad altre.
Nel contesto di un progetto riabilitativo comprendente tecniche volte a compensare i deficit si prevede talvolta la possibilità di utilizzare presidi, quali ortesi ed ausili. È utile che i familiari del soggetto colpito da ictus vengano informati, in maniera chiara, sulle conseguenze dell’ictus, soprattutto in termini di deterioramento cognitivo, incontinenza sfinterica e disturbi psichici, oltre che sulle strutture locali e nazionali fruibili per l’assistenza al soggetto malato. Anche i pazienti più anziani possono essere riabilitati: è importante che in questi casi la riabilitazione sia guidata da un processo di valutazione multidimensionale geriatrica. Ogni paziente, ancora disabile a distanza di sei mesi o più da un ictus andrebbe ri-valutato al fine di definire le ulteriori esigenze riabilitative, da realizzare se appropriate.
Oltre ai postumi, quali la paralisi o i disturbi del linguaggio, causati direttamente dall’ictus, i pazienti possono presentare altri disturbi, come spasticità, depressione, demenza vascolare, disturbi d’ansia, malnutrizione, patologie articolari e/o dolorose e cadute. Tali disturbi, nei pazienti con postumi di ictus, non devono essere considerati ineluttabili, ma devono essere adeguatamente valutati e trattati, in quanto altrimenti possono condizionare negativamente il processo riabilitativo.
Circa un terzo dei pazienti colpiti da ictus va incontro a depressione. Questi pazienti lamentano molti segni fisici di depressione (stanchezza, disturbi del sonno, di concentrazione, dell’appetito, etc.). La depressione post-ictus aumenta il rischio di mortalità sia a breve che a lungo termine dopo l’evento ictale, rappresenta un fattore prognostico sfavorevole sullo stato funzionale del paziente sia a breve che a lungo termine, aumenta il rischio di cadute del paziente e ne peggiora la qualità di vita. In questi casi è opportuno iniziare precocemente un trattamento antidepressivo, anche per ridurne l’impatto sfavorevole sull’attività riabilitativa. La malattia cerebrovascolare comporta un aumento del rischio di decadimento cognitivo e la demenza vascolare rappresenta la seconda più frequente forma di decadimento cognitivo cronico. Circa il 20%-25% dei casi di demenza è infatti dovuto alle malattie cerebrovascolari.